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Il prezzo della cura: da un farmaco da 85 dollari a terapie da migliaia di euro

Il costo minimo stimato per produrre una terapia contro l’epatite C è inferiore ai 100 dollari. Eppure, nei sistemi sanitari europei, lo stesso trattamento viene ancora pagato migliaia di euro. Un’indagine sulle cause strutturali di questa disparità.

Fabrizio TerziDecember 17, 2025
4 min Fabrizio Terzi December 17, 2025
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Il prezzo della cura: da un farmaco da 85 dollari a terapie da migliaia di euro

L’epatite C è oggi una malattia curabile nella quasi totalità dei casi. Un ciclo di antivirali ad azione diretta (DAA), della durata di 8–12 settimane, elimina il virus in oltre il 95% dei pazienti.

La molecola è la stessa ovunque. Quello che cambia radicalmente è il prezzo.

In India, il costo minimo stimato per produrre una terapia completa è inferiore ai 100 dollari. In Europa, i sistemi sanitari pubblici continuano a pagare migliaia di euro per lo stesso trattamento.

Non è una differenza clinica. È una differenza di sistema.


India: quando i generici arrivano prima del monopolio

In India, un ciclo completo di terapie pangenotipiche come sofosbuvir/velpatasvir o sofosbuvir/daclatasvir è disponibile sul mercato a prezzi che oscillano tra 200 e 1.000 dollari, con forniture per programmi pubblici e ONG che scendono anche sotto i 150 dollari.

Secondo stime indipendenti pubblicate su riviste scientifiche, il costo minimo di produzione — comprensivo di principio attivo, formulazione, confezionamento e un margine industriale — può scendere fino a:

  • 85 dollari per sofosbuvir/velpatasvir
  • 58 dollari per sofosbuvir/ledipasvir
  • 31 dollari per sofosbuvir/daclatasvir

Questi numeri non sono il frutto di dumping, ma di produzione su larga scala, concorrenza reale e assenza di monopoli prolungati.

Il punto di svolta risale al 2015, quando l’Ufficio Brevetti indiano ha respinto la richiesta di brevetto di Gilead per sofosbuvir, giudicandola non sufficientemente innovativa secondo i criteri nazionali di brevettabilità. Quella decisione ha aperto il mercato a produttori locali qualificati, consentendo l’accesso a cure efficaci a prezzi compatibili con la sanità pubblica.


Europa: prezzi negoziati, ma ancora opachi

In Europa la storia è diversa.

Quando sofosbuvir è stato introdotto nel 2014, il prezzo di listino superava i 40.000 euro per ciclo di trattamento in molti paesi. In Italia, negli Stati Uniti, in Germania, il costo iniziale era comparabile.

Negli anni successivi, grazie a negoziazioni riservate, i prezzi effettivamente pagati dai servizi sanitari sono scesi. In Italia, un accordo siglato nel 2016 ha fissato un costo medio stimato intorno ai 15.000 euro per paziente.

Un calo significativo rispetto al listino iniziale, ma ancora decine di volte superiore ai costi di produzione stimati e ai prezzi praticati nei mercati dei generici.

Perché il divario persiste?

Perché, anche dopo la scadenza del brevetto primario di sofosbuvir nel 2024 (con variazioni nazionali), l’esclusiva è stata prolungata attraverso:

  • brevetti secondari
  • certificati di protezione complementare (SPC)
  • brevetti su combinazioni fisse, forme cristalline e processi

In alcuni casi, queste tutele estendono il monopolio fino alla prima metà degli anni 2030.


Prezzi segmentati: il meccanismo del tiered pricing

Le grandi aziende farmaceutiche adottano una strategia nota come tiered pricing: prezzi differenziati in base al mercato.

Paesi a basso reddito pagano poco. Paesi ad alto reddito pagano molto.

Sulla carta, il modello serve a bilanciare accesso e recupero degli investimenti in ricerca. Nella pratica, genera forti distorsioni.

Non emerge una correlazione stabile tra prezzo e reddito nazionale. Il fattore dominante è il potere contrattuale degli acquirenti pubblici e la capacità — o meno — di negoziare in modo coordinato.

Il risultato è che molti paesi a reddito medio restano esclusi sia dai generici a basso costo sia dai programmi di accesso agevolato, mentre l’Europa continua a pagare prezzi elevati nonostante sistemi sanitari universali.


Il caso italiano: quando i pazienti anticipano la politica

Tra il 2015 e il 2017, migliaia di italiani affetti da epatite C hanno viaggiato in India per acquistare terapie generiche a costi sostenibili.

Non era turismo sanitario per scelta, ma per necessità. In quegli anni, l’accesso ai farmaci in Italia era limitato ai casi più gravi, a causa dell’impatto economico sui conti pubblici.

Solo nel 2017 l’AIFA ha esteso il trattamento a tutti i pazienti diagnosticati, segnando un passaggio cruciale. Una decisione politica importante, maturata però sotto la pressione dei numeri, del confronto internazionale e delle alternative già disponibili altrove.


Il nodo che resta irrisolto

Oggi i farmaci funzionano. I costi di produzione sono noti. I brevetti primari sono in gran parte scaduti.

Eppure, i sistemi sanitari europei continuano a pagare migliaia di euro per terapie che potrebbero essere prodotte per poche decine di dollari.

Non si tratta di margini industriali ordinari, ma di un differenziale di prezzo che supera il 10.000% rispetto ai costi stimati di produzione.

La spiegazione non è tecnologica. È politica, regolatoria e contrattuale.

Finché i brevetti secondari non verranno contestati in modo coordinato, finché le negoziazioni resteranno riservate e frammentate, finché ogni Stato continuerà a trattare da solo, il divario persisterà.

E con esso il rischio che risorse pubbliche vengano assorbite da rendite monopolistiche invece che reinvestite nell’accesso universale alla cura.


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